Entrare per la prima volta in un'aula, confrontarsi con un nuovo gruppo è sempre un salto nel vuoto: un respiro e ci si butta. Il teatro arriva per scardinare, sovvertire, scatenare un tumulto, sia nel contesto di riferimento che nei cuori. Ti presentano una classe pecora nera, magari tanti immigrati, situazioni familiari complicate, “sarà difficile lavorarci”, ti avvertono gli insegnanti; e, invece, in dieci minuti c'è già piena sintonia. Perché spesso il teatro è proprio questo: la rivincita degli ultimi della classe. Non giudica, ma invita a mettersi in gioco, a dare il meglio, in maniera molto differente da ciò che intendiamo per educazione.
Bambini e ragazzi appaiono pieni di fragilità. Il teatro non deve negare la fragilità, anzi: in un mondo che vuole individui efficienti come macchine, esaltare l'imperfezione è vitale, perché l'umano sta lì, nell'essere sgangherati. In un mondo sempre più virtuale il teatro dovrebbe ricordarci la fisicità, il fiatone, lo sguardo che incontra un altro sguardo e non uno schermo. In un mondo sempre più razionale il teatro dovrebbe colpire nella pancia: un altro tipo di comprensione, che può essere analizzata, razionalizzata, ma che ha meccanismi propri, fatti di emozioni e corpo.osmrtnice
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